Ue e Kiev, si può fare

By 2 Luglio 2022 News No Comments

La politica, a livello europeo, si mette in moto per l’Ucraina, come spiega in questo articolo Gianni Borsa, apparso sull’ultimo numero di Segno nel mondo. Ma ci sono anche iniziative che partono dal “basso”. In occasione della manifestazione dell’11 luglio organizzata a Kiev dal Mean-Movimento europeo azione nonviolenta, la Presidenza di Ac ha deciso di finanziare 5 borse viaggio. ​La proposta è rivolta, in particolare, ai soci Ac che vogliono partecipare alla marcia pacifica.​​Per chi volesse segnalare la propria disponibilità o avere maggiori informazioni può scrivere al seguente indirizzo:​ presidenzanazionale@azionecattolica.it , ndr.

Porte aperte all’Ucraina per un possibile futuro, ma condizionato, ingresso nell’Unione europea. È quanto ha stabilito il Consiglio europeo nella riunione a Bruxelles di fine giugno. Un segnale, questo, di ulteriore sostegno politico al Paese preso di mira dalla foga imperialista di Putin. 

La decisione di assegnare ufficialmente all’Ucraina lo status di “Paese candidato all’adesione” non comporta automaticamente la certezza che Kiev avrà accesso alla “casa comune” europea. Il percorso verso l’Ue prevede una lunga serie di esami a cui lo Stato candidato deve sottoporsi, e che prevede il rispetto di criteri definiti dalla stessa Ue riguardanti, fra gli altri, una piena democrazia partecipativa, lo stato di diritto, la promozione e tutela delle libertà e dei diritti di tutti i cittadini (minoranze comprese), un’economia di mercato, un ruolo di pace e cooperazione regionale. Dunque dall’Ucraina ci si attendono riforme vere e sostanziali. In cambio, l’Ue fornirà da subito aiuti economici, fondi specifici – denominati appunto di pre adesione –, appoggio sul piano giuridico e amministrativo… Va infine ricordato che non c’è una data stabilita per l’ingresso nell’Ue né la certezza che ciò avvenga in mancanza di adeguate riforme e del rispetto dei valori europei espressi nei Trattati.

Ciò detto, il doppio segnale che giunge dai Ventisette al Presidente Zelensky e al popolo ucraino è: «siamo con voi» e l’«Ucraina è parte dell’Europa».

Dal 24 febbraio in poi, giorno della sciagurata, violenta, ingiustificata aggressione russa all’Ucraina, si sono contati migliaia di morti, un numero imprecisato di feriti, milioni di sfollati e di profughi; case, scuole e ospedali distrutti, città ridotte in macerie. L’economia ucraina è stata messa in ginocchio (con pesanti conseguenze sulla crisi alimentare mondiale per via dei cereali bloccati nei silos). In questa tragedia – che nessuno si sarebbe immaginato di rivedere sul continente europeo, e la cui colpa ricade sullo zar del Cremlino, sui suoi oligarchi, sui capi del suo esercito e su quanti in Russia continuano a sostenere la guerra – l’Unione europea ha scelto di stare dalla parte dell’aggredito. Non sono mancati tentennamenti e persino dubbi, passi indietro e divisioni in sede europea: basti pensare alle sanzioni verso Mosca e alle divisioni sulla questione energetica. Più di una voce ha inoltre obiettato alla dirigenza ucraina il marcato nazionalismo giallo-blu e la mancata autonomia che si sarebbe potuto accordare alle regioni orientali ucraine a forte presenza russofona. Eppure l’Unione europea, con i suoi 27 Stati membri, ha mandato chiari e concretissimi segnali di appoggio agli ucraini, così riassumibili: aiuti umanitari, aiuti economici, accoglienza profughi, sanzioni alla Russia, invio di armi (decisione questa discussa e discutibile, ma intrapresa con fermezza).

La situazione resta comunque in grande fermento 

Si ragione a bocce in movimento: quanto durerà il conflitto? Governanti e popolo ucraino resisteranno con forza e dignità alla violazione di sovranità intrapresa da Mosca? Putin e soci si ravvederanno e decideranno di fermare i massacri, dei quali dovranno rispondere davanti al Tribunale internazionale? Quanto peseranno la crisi energetica e quella alimentare nello scenario globale?

Occorre inoltre tener presente che la stessa scena internazionale è attraversata da pulsioni, divisioni, equivoci: quali ruoli stanno giocando, se ne hanno, Nato e Nazioni Unite? Da che parte sta la Cina? Come mai molti Paesi, tra cui gli arabi e gli africani, non hanno aderito alle sanzioni verso la Russia? Come si posiziona e quali mire ha in questo frangente il turco Erdogan? Sono reali i timori dei Paesi Baltici e Scandinavi in conseguenza delle non troppo velate minacce russe? Gli Stati balcanici, Serbia in testa, da tempo sulla soglia dell’Ue, sentiranno il richiamo del nazionalismo putiniano?   

Vi è poi una questione latente: il popolo russo dovrà ancora a lungo rimanere assoggettato al dittatore Vladimir (che a sua volta è cresciuto politicamente grazie a un largo consenso popolare), oppure si possono immaginare ribaltamenti dello scenario interno?

A fronte di una infinità di interrogativi, le certezze sono poche. La prima delle quali è una Ucraina colpita duramente, segnata da lutti e distruzioni, che impiegherà decenni a riprendersi. La seconda attiene all’Ue, che finora si è mostrata al fianco dell’Ucraina con mano tesa e aiuti militari. La terza, profilatasi sin dalle prime azioni belliche, concerne le pesanti ricadute che la guerra in Ucraina ha e avrà sul mondo intero. La quarta: lo scontro Russia-Ucraina ha comprensibilmente occupato i media e i nostri pensieri, mentre rimangono per noi distanti i tanti altri conflitti in atto oggi nel mondo, ritenuti “lontani” e dunque meno degni di attenzione da parte dell’opinione pubblica occidentale.

Infine un auspicio: l’Unione europea potrebbe (sarebbe più esatto dire: dovrebbe) tornare a insistere, senza sosta, per una soluzione al conflitto mediante l’arte della politica e della diplomazia, pretendendo che i belligeranti si siedano a un tavolo per una immediata tregua e per avviare negoziati di pace. Oggi come oggi, l’Ue27 sembra essere l’unico soggetto in grado di promuovere questa direzione, più e più volte invocata da papa Francesco.

Dall’Europa comunitaria, “potenza civile”, ci si aspetta proprio questo.
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