Il gusto della memoria

By 27 Gennaio 2023 News No Comments

Fare memoria significa nutrirsi della testimonianza di chi si è fatto prossimo con competenza, formazione e creatività. Tra le tante storie di “santi della porta accanto”, ricordiamo un dirigente romano di Ac, Pietro Lestini (1892- 1960), all’epoca dei fatti vice presidente degli Uomini di Azione cattolica della parrocchia di San Gioacchino dei Redentoristi nel quartiere Prati a Roma. Il suo nome, insieme a sua figlia Giuliana, allora ventenne, appare al numero 6747 dello Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah. È uno dei “giusti” di San Gioacchino, insieme al parroco padre Antonio Dressino e la suora francese Margherita Bernes, delle Figlie della Carità.

Una targa in marmo sulla facciata della chiesa testimonia questo riconoscimento: «Dal 25 ottobre 1943 al 7 giugno 1944 la chiesa di San Gioacchino ha assistito perseguitati razziali e politici. Lo stato d’Israele ha riconosciuto l’efficacia dell’opera che ha salvato la vita di tre ebrei: Arrigo e Gilberto Finzi e Leopoldo Moscati, e nel 1974 ha insignito suor Margherita Bernès del titolo di “giusto tra le nazioni” e il 17 marzo 1996 ha consegnato per mezzo dell’ambasciatore Yeyuda Millo e del ministro consigliere signora Miriam Ziv l’attestato “giusto tra le nazioni” a p. Antonio Dressino, parroco, a Pietro Lestini e a sua figlia Giuliana».

È la storia di una vicenda umana particolarmente importante, testimoniata anche dal diario parrocchiale.

I fatti

Settembre 1943. I tedeschi hanno occupato Roma e vi rimarranno nove mesi. In molte zone della città, soprattutto nei locali ecclesiastici, ci si organizza per l’ospitalità di sfollati dal Sud Italia, renitenti di leva, militari sbandati, ecc.

A San Gioacchino operavano allora e ancora oggi i Redentoristi, ma esisteva dal 1908 l’Azione cattolica in tutte le sue forme. Alle porte della chiesa bussavano persone in difficoltà. 

Come scrive Andrea Riccardi in L’inverno più lungo. 1943-’44. Gli ebrei e i nazisti a Roma, Prati era un quartiere difficile, teatro di atti violenti contro gli ebrei: ebrei che vendevano nei loro negozi o per strada erano stati portati via con i loro bambini; da Prati veniva il delatore di don Morosini, abitante vicino alla chiesa, condannato a morte per il suo aiuto alla Resistenza.

Solidarietà e azione clandestina caratterizzarono quindi l’ospitalità a san Gioacchino. Lestini attivò una rete che si avvalse di diverse persone, tra le quali padre Antonio Dressino e la suora Margherita Bernes.

Pietro Lestini

L’Unione uomini – come si legge nei documenti di quegli anni conservati presso l’Archivio Isacem, Fondo della Presidenza centrale degli Uomini di Ac – continua nel suo lavoro di apostolato: lancia inoltre la costituzione dei Segretariati della carità (opera per organizzare la carità nelle parrocchie) e continua l’assistenza degli sfollati e dei profughi.

In questo quadro va letta la figura di Lestini (materiale divulgativo dell’epoca è stato possibile visionarlo grazie all’Emeroteca dell’Azione cattolica italiana), ingegnere che conosceva bene la chiesa di San Gioacchino per averla ristrutturata e al quale sembrò normale escogitare un metodo per mettere in salvo chi chiedeva loro aiuto. 

Il primo rifugio fu il teatrino adiacente alla chiesa. Poi Lestini pensò alla soffitta, uno stretto spazio tra le capriate e la volta della cupola. Solo la fascia perimetrale era calpestabile (la parte centrale corrispondeva alla volta a botte della chiesa e non era sicura per grandi pesi). I rifugiati vi salirono il 25 ottobre 1943. Era la “Sasg”, Sezione aerea di san Gioacchino (molto probabilmente anche lo stesso termine “sezione” viene dalla terminologia dell’Ac).

Il 2 novembre 1943 le SS avevano iniziato a perquisire le chiese e i conventi: il 3 novembre di mattina presto anche l’unico accesso possibile viene “murato” e rimarrà tale fino alla liberazione di Roma nel giugno del 1944.

L’unico accesso era dall’occhione del timpano. Da lì passava tutto grazie a una carrucola, montata e smontata di volta in volta: acqua, cibo, rifiuti e i rifugiati stessi. 

Nello stanzone un po’ alla volta venne adibito un gabinetto, portata la luce elettrica, una radio, dei fornelletti per riscaldare le vivande, un tavolo e delle sedie. 

Pietro Lestini

La chiesa di San Gioacchino in Prati

La soffitta dove sono stati nascosti i perseguitati

La targa che ricorda il tributo dello Stato d’Israele a coloro che aiutarono gli ebrei

Come trascorrevano il tempo

Ancora oggi quella soffitta, in cui la vita si svolgeva soprattutto di notte, ci parla grazie agli oggetti ritrovati (il gioco enigmistico Crox, una serie di disegni su fogli di carta sulla vita dei rifugiati, ora custoditi in un armadio in sagrestia) e ai murales fatti dai rifugiati: un uomo che si copre il volto, un Cristo sofferente, una Madonna con bambino, alcuni alberi e una casa di campagna.

Dall’ottobre del 1943 al giugno del 1944 vi sono passati 35 uomini, registrati dallo stesso organizzatore Pietro Lestini: soldati, ufficiali, dissidenti politici e i quattro ebrei: Alberto Moscati e suo figlio Leopoldo, detto Poldo, quindicenne e i fratelli Arrigo e Gilberto Finzi. 

Lo stesso Leopoldo Moscati, spiegando che cosa animava quel gruppo di religiosi e di laici dichiarò: «Un verissimo spirito umanitario, senza che sia mai trapelato alcun interesse e pressione di carattere economico, religioso, politico…».

Per guardare il video che racconta la storia cliccare qui
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