I sensi del buon politico

By 10 Febbraio 2023 News No Comments

“L’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio” (Gen 3,8). Al peccato commesso Adamo aggiunge un grave errore: si chiude; peccare è male, ma chiudersi è cosa peggiore. “Meglio sbagliare che chiudersi”: osservava don Primo Mazzolari; chi sbaglia strada può ritrovare la via da seguire, mentre chi si chiude è condannato a morire per asfissia. “Dove sei (andato a finire)?” (Gen 3,9): questo interrogativo, rivolto ad Adamo, ha lo stesso significato della benedizione di cui parla il Vangelo, impartita a un sordomuto. “Effatà, cioè: apriti!” (Mc 7,34): si tratta di una formula modulata dal silenzio dei gesti e amplificata da un profondo respiro (cf. Mc 7,33-34), che fa sentire il battito del cuore di Dio, “Padre misericordioso”, il quale cerca l’uomo, ovunque sia andato a finire, per restituirgli, con l’udito e la parola, la dignità perduta.

L’udito apre l’uomo all’ascolto, liberandolo dalla sordità della chiusura in se stesso. È uno dei cinque sensi che può contribuire anche a “rigenerare la democrazia”, a restituire alla cultura politica e alla coscienza civile “parole di giustizia e di speranza”. Per salvare la democrazia è indispensabile una nuova “ecologia della parola”. Logos viene dal verbo greco legein, che significa raccogliere, rilegare; tale etimologia suggerisce alla città degli uomini di essere la “legatoria d’arte” di una “fraternità ordinata”. Dialogare, sapendo ascoltare, è una disciplina sempre più rara, perché la logica del “like” prevale sul riconoscimento del merito: per convincere non bisogna più dimostrare, ma è sufficiente mostrarsi. La dipendenza dai social, l’inquinamento comunicativo, è un ciclone che si abbatte sulla socializzazione nella città. Occorre porre un argine al flusso chiassoso del “like”, che non lascia traccia, riscoprendo il silenzio e la riflessione, senza i quali è impossibile assicurare un “peso specifico” alle parole che usiamo.

Recuperare il senso dell’udito, nell’era dei social network in cui la differenza tra politico e pre-politico è più permeabile, è un compito irrinunciabile, finalizzato sia a preferire il pensare riflessivo al vociare emotivo, sia a non smanettare sul web ma a studiare i dossier, facendo incontrare valori e interessi. Oltre all’udito, gli altri sensi che consentono di “badare” all’anima della politica, al suo fondamento etico, sono la vista, il tatto, l’olfatto e il gusto.

La vista dell’uomo politico, candidato ad essere amministratore e a diventare statista, non soffre di miopia elettorale. Libero dalla ricerca dell’esclusivo profitto personale o di gruppo, interessato solo al perseguimento del bene comune, non condizionato dall’assillo di essere rieletto, è sempre pronto a congedarsi, favorendo così il necessario ricambio generazionale, poiché l’eccessivo attaccamento al potere degrada la politica a propaganda e sbarra l’accesso alle nuove leve.

Il tatto dell’uomo politico, se mosso da vigile senso critico, lo rende capace di toccare le necessità della gente, di promuovere la pace sociale, di avvicinarsi alla realtà sapendo discernere le ragioni sia dalle emozioni, sia dalle rivendicazioni. Non finge di essere vicino alla gente, accreditandosi come populista, sedotto dall’ambizione di rassomigliare ai cittadini, ma si lascia guidare unicamente dal desiderio di orientare e di promuovere la crescita della società.

L’olfatto dell’uomo politico, se guidato dal profumo dell’onestà e del rigore intellettuali, gli consente di esercitare l’arte della mediazione, in una continua ricerca non di convenienze tattiche ma di convergenze strategiche, soprattutto quelle della solidarietà, senza le quali è impossibile scrivere la storia, giocando in grande. Con realismo appassionato e illuminato testimonia la pratica delle virtù umane, quali il rispetto, la sincerità, l’onestà, la lealtà, presupposto della fedeltà.

Il gusto dell’uomo politico, se non è condizionato dall’ansia di occupare spazi, non lo spinge a spartire la “torta” del potere, ma ad avviare processi che le emergenze etiche, civili e sociali suggeriscono. Consapevole del proprio ruolo, conferitogli dal “popolo sovrano”, risponde “a viso aperto” a chiunque gli domandi ragione del proprio operato. “Perdere la gloria per salvare l’onore” è l’unico “vitalizio” che un uomo politico, allergico al clientelismo, cerca di ottenere.

Il ricordo di Vittorio Bachelet, un uomo che ha avuto il “sesto senso” della profezia, sia occasione propizia per non dimenticare questa sua lezione magistrale. “Se non si distinguono con chiarezza i valori perenni e immutabili del bene comune dai suoi mutevoli contenuti storici, si rischia che dall’inevitabile mutare dei secondi finiscano per apparire travolti anche i primi”.
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