Attraversiamo le frontiere

By 7 Settembre 2023 News No Comments

Come nascono le frontiere e cosa significano a livello culturale e politico, come vengono usate, invocate, difese? In che senso abbiamo bisogno delle frontiere? Molti pensano che le frontiere espressione della divisione dei popoli siamo sempre esistite e siano una mera necessità, una consuetudine della convivenza dei popoli consolidatasi attraverso diverse epoche. La ricerca storica, l’esperienza politica e il diritto internazionale hanno dimostrato che questa percezione popolare è in parte falsa e in parte piuttosto inaccurata sul piano storico e politico, soprattutto quando le frontiere vengono riferite a separazioni tra i popoli, invece che all’appartenenza geografica dei territori. Attraversiamo le frontiere, allora?

Il pensiero di Sandro Calvani, presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto Toniolo per il Diritto internazionale della Pace, e già dirigente Onu, troverà eco sabato 9 settembre nell’ambito delle “Conversazioni a Spello”, un evento promosso dall’Azione cattolica italiana e dalla rivista Dialoghi all’interno della Casa San Girolamo. Il tema, Attraversare le frontiere, affrontato nel pomeriggio di sabato, sarà anticipato da una preghiera sulla tomba di fratel Carlo Carretto e si svilupperà anche con il contributo di Marta Cariello, dell’Università della Campania, Giuseppina De Simone, direttrice di Dialoghi e Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale dell’Ac.

Le parole chiave delle frontiere

Nell’“attraversamento delle frontiere” le parole chiave sono evidenti. Prima di tutto – spiega Calvani – ci sono le due preposizioni A e Tra. «La preposizione “A” indica una volontà e un’attitudine al movimento, allo spostarsi dalla posizione preesistente verso un’altra posizione. Poi la preposizione “Tra”, ricorda che stiamo parlando di un incontro tra due o più insiemi diversi. Infine, viene il “versamento”, cioè la ricerca, la scoperta, l’introduzione e il mischiarsi con l’altro verso. E’ una etimologia uguale a quella della conversazione, che significa vivere insieme all’altro verso, cioè insieme a qualcuno diverso senza sentirlo avverso o avversario. Di solito si comincia con i Paesi vicini come è stato il caso dei trattati dell’Unione Europea. Significativamente il sinonimo di “paesi vicini” in tutte le lingue europee è la parola “limitrofi”, cioè genti che si supportano e si nutrono a vicenda oltre le frontiere. ”Limitrofo” è l’insieme di limes–mĭtis, cioè «confine» e del greco τρέϕω trefos, cioè «nutrire».

Attraversiamo le frontiere

Attraversare le frontiere, allora, non è solo un’esigenza del presente dettata dalla globalizzazione in corso e dalle crisi geopolitiche del mondo non solo più civilizzato e ricco. È un dato di fatto. Si attraversano le frontiere per fame, democrazia, pace. Per voglia di progresso e diritto di umanità. Attraversiamo le frontiere perché solo in questo modo ci salveremo.Per oltre mille anni, infatti, le frontiere sono state solo separazioni di territori e di risorse naturali. Non di popoli, in quanto sempre e dovunque le persone poterono attraversarle senza particolari difficoltà.

E oggi?

Nell’era contemporanea, la globalizzazione ha aumentato le sfide del multilateralismo pubblico e privato che cerca di usare le frontiere non come impedimento alla cooperazione, ma piuttosto come strumento per favorire la necessaria osmosi di conoscenze, risorse naturali e finanziarie. Sono sorte oltre 300 organizzazioni internazionali intergovernative. Alcune di esse, come per esempio l’Unione Europea, hanno raggiunto livelli così alti di inclusività e di integrazione che hanno abbassato di molto le frontiere, facendole divenire di fatto quasi impercettibili e facilissime da attraversare. Queste entità sfidano le nozioni tradizionali di confini promuovendo l’integrazione economica e la libera circolazione di persone, merci e idee. 

Papa Francesco e la cultura dell’incontro

La cultura dell’incontro è l’unico strumento capace di abbassare le frontiere e costruire un multilateralismo capace di pensare al bene comune, la riduzione delle disuguaglianze e dei conflitti e la costruzione di un sistema internazionale giusto e pacifico.Come ha osservato papa Francesco, tutto è connesso. L’ambiente dovrà essere al primo posto delle nostre preoccupazioni, ma anche gli assetti istituzionali e geopolitici, la formazione delle persone, il contrasto delle disuguaglianze, gli equilibri demografici e intergenerazionali.In attesa del proseguimento della Laudato si’, vale la pena leggere il contributo dell’economista Gaël Giraud sj, (Civiltà cattolica, quaderno 4157, pag. 360–370, 2023): «Per questo è più che mai necessario immaginare un altro tipo non più di globalizzazione, ma di mondializzazione: il futuro di un mondo unico, unus mundus, strutturato da istituzioni internazionali capaci di farsi carico dei nostri beni comuni mondiali: l’Amazzonia, i fondali marini, l’atmosfera, le risorse ittiche, l’acqua dolce, lo spazio ecc. Rinunciarvi significherebbe rassegnarsi all’immundus. La sfida sembra immensa? La transizione energetica costerebbe circa 95 trilioni di dollari entro il 2035. Ebbene, la sfera finanziaria globale oggi rappresenta più di 470 trilioni. La riallocazione dei capitali verso l’industria di domani è quindi una priorità. Riguardo al suo versante istituzionale, per quanto straordinario possa sembrare, questa sfida era già stata prevista da un osservatore profetico nel 2003: il lussemburghese J. F. Rischard, allora direttore europeo della Banca Mondiale, proponeva già istituzioni internazionali collaborative per comporre un mondo vivibile. Possa egli finalmente essere ascoltato».
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