Pregare, agire, educare

By 15 Ottobre 2023 News No Comments

Cosa può fare per la pace un credente di fronte all’inaudita violenza che in questi giorni ha ferito e continua a ferire profondamente il Medio Oriente? Come trasformare il dolore, l’angoscia e l’orrore in azione concreta? Per i cristiani la risposta passa dalla preghiera, che non è mai una formula astratta per voltare lo sguardo dall’altra parte, ma risorsa potente per cambiare la storia. Essa, infatti, richiede di riconoscersi gli uni gli altri come parte di una comunità che si fa carico del dolore del mondo. Un gesto, la preghiera, che la tradizione spesso accompagna al digiuno, come espressione visibile della ricerca dell’essenzialità e quindi della pace. E nasce proprio da questi fondamenti la «Giornata nazionale di digiuno, preghiera e astinenza per la pace e la riconciliazione» promossa dalla Chiesa italiana per il 17 ottobre dando seguito a un appello lanciato dal patriarca di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa. Ma se l’invito della Cei, «in comunione con i cristiani di Terra Santa», è rivolto «alle comunità diocesane», la suggestione di una giornata di condivisione arriva ben oltre il perimetro della Chiesa. Perché chiede di impegnarsi personalmente a offrire uno spazio della propria vita a una ferita che ci riguarda da vicino e a farla propria. Avvenire rilancia ed estende questo appello a quanti sentono che la tragedia di questi giorni, e le tante che sfigurano il nostro tempo, non può rimanerci estranea. L’invito, quindi, è a condividere con Avvenire le #Vocidipace. In queste ore molti hanno risposto e stanno inviando le proprie riflessioni a vocidipace@avvenire.it o sui canali social di Avvenire: ne pubblichiamo alcuni in questa pagina ma tanti altri trovano posto nelle pagine del sito Avvenire.it.

Pienamente partecipi. Azione Cattolica e Fiac rispondono presente all’appello alla preghiera e al digiuno. Perché, come sottolinea il presidente nazionale di Ac, Giuseppe Notarstefano, c’è per ogni cristiano «il dovere di dire no, con l’orazione e con l’azione, alla guerra in tutte le sue forme».

Presidente, come vi state preparando alla giornata del 17 ottobre?

L’Azione Cattolica italiana e con essa tutte le Ac del mondo riunite nel Forum internazionale di Azione Cattolica (Fiac) hanno subito accolto l’invito lanciato dal cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, a nome di tutti gli Ordinari di Terra Santa, a vivere una Giornata di digiuno, preghiera e astinenza per la pace e la riconciliazione. Appuntamento fatto proprio e rilanciato anche dai nostri vescovi. Lo abbiamo fatto intensificando da subito l’iniziativa di preghiera “Un Minuto Per la Pace” che il Fiac porta avanti da tempo nel mondo, chiedendo a tutti di fermarsi ogni giorno alle 13 del proprio Paese e pregare con l’Ave Maria. E lo abbiamo fatto chiedendo ai nostri soci di organizzare per martedì 17 nelle parrocchie di tutta Italia, ma anche in famiglia, a scuola, sul posto di lavoro un momento di preghiera e riflessione su quando accade in Terra Santa.

Preghiera e digiuno. Solo nel senso di astenersi dal cibo?

No. Per un giorno asteniamoci dai nostri piccoli e grandi agi, dal superfluo che costella e allo stesso tempo affligge il nostro vivere quotidiano, dalle chiacchiere da chat, e prendiamo insieme la corona del Rosario invocando l’intercessione di Maria perché a un’umanità tentata fortemente dall’odio e dalla vendetta sia concessa la pace, ovunque questa manchi.

Dalla preghiera e dal digiuno quali conseguenze si possono trarre poi sul piano pratico?

In quest’ora di forte preoccupazione internazionale per il riaccendersi dell’ennesimo focolaio di cieca violenza e odio, per l’inaccettabile e inumana strage compiuta da Hamas, per i lutti e le sofferenze che subiscono le innocenti popolazioni israeliane e palestinesi, chi crede nel Dio della vita e della pace ha il dovere di spendere tutto sé stesso dicendo con forza, nella preghiera e nell’azione quotidiana, il “No” alla guerra, a tutte le guerre. Ad esempio, ricordando al vicino della porta accanto, al collega di lavoro, al compagno di banco quanto scrive san Giovanni Paolo II nella lettera enciclica Centesimus Annus: «Mai più la guerra, che distrugge la vita degli innocenti, che insegna a uccidere e sconvolge egualmente la vita degli uccisori, che lascia dietro di sé uno strascico di rancori e di odi, rendendo più difficile la giusta soluzione degli stessi problemi che l’hanno provocata». Concetto ribadito da papa Francesco all’Angelus dell’8 ottobre scorso quando ha detto: «Si comprenda che il terrorismo e la guerra non portano a nessuna soluzione, ma solo alla morte e alla sofferenza di tanti innocenti. La guerra è una sconfitta: ogni guerra è una sconfitta!».

Come credenti sappiamo che la preghiera sposta le montagne. Ma quali mezzi si possono mettere in atto accanto all’invocazione della pace?

Educare alla pace, che poi vuol dire educare alla giustizia, e alla giustizia sociale, a rifiutare la violenza e le disuguaglianze, mi sembra un buon inizio. Essere cittadini attivi, che contribuiscono a rendere tutti consapevoli dell’importanza di partecipare alla vita democratica; che condividono gli stessi valori umani nel tentativo di contrastare conflitti e violenze di portata diversa e di diversa natura, che vanno dal locale al globale e dal personale al comunitario; che esplorano con coraggio le strade di un futuro più giusto e sostenibile per tutti. Lo stesso papa Francesco, del resto, in più di un’occasione ha ricordato che ogni impegno per la pace implica e richiede l’impegno per la giustizia e che «la pace senza giustizia non è una vera pace, non ha solide fondamenta né possibilità di futuro».

C’è qualcosa che il mondo cattolico può mettere in atto a livello politico per aprire sentieri di pace?

Non sono un esperto del conflitto israelo-palestinese. Anche se in queste tragiche giornate ho visto molti esercitarsi in materia. Personalmente sono più che convinto che la pace si fa tra nemici e non tra amici, e che essa è un dono prezioso da conquistare.

Ma è ancora un dono possibile?

Sì, è una meta raggiungibile. Per questo preghiamo e invochiamo il sostegno di Maria. Un punto di arrivo, che, per quel che riguarda lo scacchiere Medio Orientale, ha un punto di ripartenza: il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite convochi al più presto una conferenza di pace per risolvere il conflitto in Israele e Palestina ripartendo dagli Accordi di Oslo del 1993, in cui le due parti hanno accettato di avere due Stati, con Gerusalemme come capitale condivisa. Trent’anni sono passati colpevolmente senza una piena attuazione e senza passi avanti significativi. E questo è anche responsabilità di noi occidentali. Sia chiaro: non ci sono giustificazioni per l’attacco di Hamas e le atrocità commesse dai suoi miliziani. Voglio dire che noi cittadini d’Europa, noi cattolici d’Europa abbiamo il dovere di chiedere all’Unione e ai suoi alleati di spendere tutto il possibile per riportare i contendenti intorno a un tavolo di pace.

La pace come unica alternativa possibile alla terza guerra mondiale, insomma.

In Terra Santa, come in Ucraina o Nagorno Karabakh, o per i mille conflitti dimenticati dell’Africa non ci sono altri orizzonti possibili se non quello della pace. Un’alternativa non esiste, se non la distruzione, i lutti e l’odio crescente. Quando tutti capiremo questo, quando le istituzioni internazionali e le singole nazioni capiranno questo, quando impareremo a mettere da parte gli interessi di bottega in nome della pace, l’umanità intera avrà finalmente fatto un passo avanti per il suo stesso bene.

Intervista pubblicata su Avvenire del 15 ottobre 2023
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