Benedetto Sinodo

By 25 Ottobre 2023 News No Comments

Il Sinodo che si sta svolgendo  in Vaticano – Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione (4-29 ottobre) –, e che continuerà nel prossimo anno in una seconda fase di ulteriore riflessione sui temi maggiormente emersi in questi giorni di ottobre, ha avuto il grande merito del metodo. La decisione di papa Francesco di volere un Sinodo “a porte chiuse” – nel senso che nulla dei lavori sinodali è stato fatto trapelare all’esterno, tranne “ufficialmente” con i briefing giornalieri che venivano offerti dalla Sala Stampa della Santa Sede – ha avuto il merito senz’altro di focalizzare le riflessioni degli intervenuti all’interno dell’aula sinodale senza avere l’assillo di essere “tradotti” fuori. Benedetto Sinodo: la Lettera al popolo di Dio è stata pubblicata il 25 di ottobre e il documento di sintesi è previsto per sabato 28.

Sinodalità è metodo

Già, il metodo. Non potrà passare inosservato il metodo questa volta. Il metodo qui è già contenuto. È merito. È sinodalità concreta, vissuta da laici, religiose e religiosi, teologi, esperti, pastori, preti e vescovi, cardinali, riuniti in piccoli gruppi allo stesso tavolo, dove, appunto, si discuteva. E nella discussione aperta, franca, oltre a capire le ragioni dell’altro, anche l’accettazione dei temi “sensibili” ha avuto eco, risonanza. Uno stile che dovrebbe già essere Chiesa.

Se qualcuno si aspettava una decisione del Papa sulla “questione delle questioni”, e cioè il celibato dei sacerdoti e le donne al sacerdozio, è rimasto deluso. Ma lo stesso Papa ha detto più volte che questa “opzione” non sarà lui a risolverla, eventualmente spetterà al futuro pontefice.

Ma i temi discussi sono stati davvero tanti. Sicuramente vissuti all’interno della Chiesa cattolica, ma con un occhio attento alle possibili ricadute non solo ecclesiali per le chiese che sono nel mondo. Temi che possono davvero intraprendere un cammino di speranza e liberazione per l’intera Chiesa.

I temi discussi al Sinodo

Il Sinodo ha dimostrato, nelle sue sessioni, che la questione del discernimento tra autorità e corresponsabilità che coinvolge laici e gerarchia, nella Chiesa è sentita e non più nascosta. Non è solo un’esigenza pastorale/ecclesiale reclamata a gran voce dai laici. C’è bisogno di autorità, ma non si deve aver paura di cercare il confronto o di essere in disaccordo, «affidandosi allo Spirito Santo che trasforma i luoghi di combattimento in luoghi di passaggio». 

Contro il clericalismo

La Chiesa è per i poveri, contro clericalismo e abusi. Il clericalismo è tornato nuovamente al centro delle riflessioni: una formazione permanente consenta di affrontare la questione degli abusi, avendo cura di disporre di una struttura adeguata contro gli abusi stessi. Importante promuovere iniziative a ogni livello per proteggere tutte le persone, adulti e bambini. La priorità è l’ascolto reciproco per tutti, a cominciare da coloro che ritengono di non poter essere accolti nella Chiesa. I migranti che appartengono ad altre religioni, i poveri, chi viene discriminato, le persone con disabilità. In particolare, riguardo alle persone lgbtq, ricordiamoci di accogliere e di rigettare ogni tipo di violenza nei loro confronti. 

E ancora: le donne. Il loro ruolo, con particolare riguardo alla possibilità di fare sentire la loro voce quando si prendono decisioni. Il diaconato femminile: una questione aperta. Ma almeno c’è, è un’idea che inizia a formarsi anche negli animi più conservatori. In una Chiesa che soffre di crisi di vocazioni religiose, il tema dell’apporto dei laici e in particolare delle donne non è più rimandabile. Lo chiedono a gran voce non solo le Chiese europee, ma anche quelle del terzo mondo, del continente latino-americano e africano.

Corresponsabilità. È una delle parole che più è ricorsa negli interventi, intesa come il coinvolgimento e il coordinamento dei carismi. Perché spesso la Chiesa si chiude in sé stessa e non valorizza appieno la presenza e l’apporto dei laici? Una Chiesa senza laici è una Chiesa senza popolo di Dio.

La Lettera al popolo di Dio

Il metodo del Sinodo è stato molto apprezzato: lo dice La Lettera al popolo di Dio. Per la prima volta uomini e donne sono stati invitati a sedersi allo stesso tavolo per prendere parte non solo alle discussioni ma anche alle votazioni dell’assemblea del Sinodo dei Vescovi. «Insieme, nella complementarità delle nostre vocazioni, dei nostri carismi e dei nostri ministeri, abbiamo condiviso con umiltà le ricchezze e le povertà delle nostre comunità in tutti i continenti, cercando di discernere ciò che lo Spirito Santo vuole dire alla Chiesa oggi. Abbiamo così sperimentato anche l’importanza di favorire scambi reciproci tra la tradizione latina e le tradizioni dell’Oriente cristiano». 

Ma lo sguardo della Chiesa è lo sguardo compassionevole verso il mondo in crisi, «le cui ferite e scandalose disuguaglianze hanno risuonato dolorosamente nei nostri cuori e hanno dato ai nostri lavori una peculiare gravità, tanto più che alcuni di noi venivano da paesi dove la guerra infuria. Abbiamo pregato per le vittime della violenza omicida, senza dimenticare tutti coloro che la miseria e la corruzione hanno gettato sulle strade pericolose della migrazione. Abbiamo assicurato la nostra solidarietà e il nostro impegno a fianco delle donne e degli uomini che in ogni luogo del mondo si adoperano come artigiani di giustizia e di pace». 

E adesso? 

L’assemblea si augura che i mesi che li separa dalla seconda sessione, nell’ottobre 2024, permettano a ognuno di partecipare concretamente alla comunione missionaria indicata dalla parola “sinodo”.

Perché le parole comunione e missione rischiano di restare termini un po’ astratti se non si coltiva a fondo una prassi ecclesiale che esprima la concretezza della sinodalità.

La Chiesa ha assolutamente bisogno di ascoltare tutti, a cominciare dai più poveri. Coloro che non hanno diritto di parola nella società o che si sentono esclusi, anche dalla Chiesa. Ascoltare le persone vittime del razzismo in tutte le sue forme, in particolare, in alcune regioni, dei popoli indigeni le cui culture sono state schernite. «Soprattutto, la Chiesa del nostro tempo ha il dovere di ascoltare, in spirito di conversione, coloro che sono stati vittime di abusi commessi da membri del corpo ecclesiale, e di impegnarsi concretamente e strutturalmente affinché ciò non accada più». 

La Chiesa, infine, ha anche bisogno di ascoltare i laici, donne e uomini, i catechisti, i bambini, i giovani, i sogni degli anziani, la loro saggezza e la loro memoria. La Chiesa ha bisogno di mettersi in ascolto delle famiglie, delle loro preoccupazioni educative, della testimonianza cristiana che offrono nel mondo di oggi. «Ha bisogno di accogliere le voci di coloro che desiderano essere coinvolti in ministeri laicali o in organismi partecipativi di discernimento e di decisione». 

Le sfide sono molteplici. L’ultima tappa del Sinodo si concluderà nell’ottobre 2024. Per adesso ci si mette in cammino sulla relazione di sintesi della prima sessione (sabato 28 ottobre) che chiarirà i punti di accordo raggiunti, evidenzierà le questioni aperte e indicherà come proseguire il lavoro. 
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