La povertà non aspetta

By 18 Dicembre 2023 News No Comments

L’Alleanza contro la povertà in Italia (Acp), cartello di 35 soggetti sociali tra i quali l’Azione cattolica, ha compiuto in questi giorni i dieci anni di vita. Per l’occasione, lo scorso 12 dicembre a Roma, si tenuto un convegno per parlare di come le povertà sono cambiate e cresciute dal 2013 a oggi e di cosa abbia fatto e intenda fare l’Alleanza, per contribuire alla progettazione di strumenti efficaci a favore delle persone in condizione di bisogno. In questo decennio, infatti, l’Acp ha svolto un ruolo di rappresentanza delle istanze degli ultimi, declinato non solo in chiave culturale ma anche di elaborazione normativa e di stimolo alla politica, che intende confermare e proiettare nel nuovo scenario sociale e politico.

Anche per questo, sintesi del simposio romano è la proposta di un nuovo patto sociale per il contrasto alla povertà e di otto modifiche concrete per migliorare l’Assegno di inclusione (Adi), il nuovo strumento introdotto dal Governo Meloni dopo aver cancellato il Reddito di cittadinanza (Rdc).

L’abbandono del principio di “universalità selettiva”: un errore

Per l’Acp, il difetto originario e fondamentale del nuovo Assegno di inclusione varato con il decreto del Primo maggio scorso è l’abbandono del principio di “universalità selettiva” che aveva caratterizzato il Reddito di inclusione (Rei) prima e il Reddito di cittadinanza poi. Tornando, dopo decenni, a interventi anti-povertà solo di carattere “categoriale” e con un’arbitraria suddivisione dei bisognosi in “occupabili” e “non occupabili”, basata sui carichi familiari. L’Acp denuncia la conseguenza pratica di escludere la quasi totalità dei singoli e di ridurre in maniera significativa la platea generale dei beneficiari, rispetto a quanto previsto dal Rdc. Addirittura dimezzandola secondo le stime dell’Acp. Proprio in una fase in cui la povertà in Italia va crescendo – secondo i dati Istat del 2022 colpisce il 9,7% della popolazione, cioè 5,6 milioni di persone – e si diffonde in diverse fasce sociali, comprese le persone che lavorano.

Un’analisi sistematica dei risultati e dei limiti principali del Rdc

Poche prestazioni sociali in Italia sono state oggetto di aspri scontri, anche ideologici, quanto il Reddito di cittadinanza (Rdc). Da un lato la retorica della panacea contro i mali del welfare italiano e dell’abolizione della povertà; dall’altro quella di una misura che incentiva l’ozio, facile preda dei «furbetti» quando non delle organizzazioni criminali. La riforma Meloni va nella direzione di superare i limiti e correggere gli errori di disegno e attuazione del Rdc? Le nuove misure funzioneranno oppure la riforma avrà creato nuovi problemi, forse maggiori di quelli che si propone di risolvere?Per rispondere a queste domande, al convegno del decennale è stato presentato il volume Sostegno ai poveri: quale riforma?, curato dal comitato scientifico dell’Alleanza. Il volume prende le mosse da un’analisi sistematica dei risultati e dei limiti principali del Rdc nei suoi quattro anni di vita. Questo ha consentito di avanzare delle considerazioni sulla riforma Meloni, valutandola rispetto a come dovrebbe funzionare uno schema di contrasto alla povertà, un tema al centro dell’elaborazione progettuale e dell’azione dell’Alleanza contro la povertà in Italia sin dalla sua costituzione.

Le proposte dell’Alleanza contro la povertà per allargare l’ombrello di protezione sociale

Per tamponare le falle della riforma Meloni e allargare il più possibile l’ombrello della protezione sociale, ecco dunque le otto proposte dell’Alleanza contro la povertà: 1) reintroduzione della soglia reddituale di accesso differenziata per coloro che hanno una casa in affitto a 9.360 euro; 2) allentare ulteriormente il vincolo di residenza in Italia per gli stranieri da 5 a 2 anni (era 10 anni nel Rdc); 3) rivedere la scala di equivalenza, reintroducendo un “peso” dello 0,25 per i maggiorenni senza carichi di famiglia oggi esclusi dal calcolo della misura; 4) indicizzazione della soglia reddituale e del sostegno all’affitto per evitare che l’inflazione annulli i sostegni; 5) ridefinire l’“offerta congrua” di lavoro perché sia vincolata all’effettivo grado di occupabilità del soggetto e, come si prevede per la Naspl, non riguardi, senza vincoli o eccezioni, l’intera Italia; 6) migliorare ulteriormente la cumulabilità tra Assegno di inclusione e redditi da lavoro (i cosiddetti in-work benefit per evitare la trappola della povertà); 7) dotare i Comuni di maggiori risorse umane e finanziarie per i servizi di “presa in carico”; 8) garantire la volontarietà della partecipazione ai Puc, i Progetti utili alla collettività che devono essere intesi come percorsi di inclusione, crescita e valorizzazione delle competenze, non come interventi compensatori o peggio punitivi per chi riceve un sussidio pubblico.

Povertà: un nuovo patto sociale che travalichi le legislature

Con l’assegno di inclusione, al di là dei possibili aggiustamenti tecnici, rimane il nodo fondamentale della natura non più universalistica degli strumenti di contrasto alla povertà, che hanno riportato l’Italia ad essere l’unico Paese in Europa a non avere nel proprio ordinamento una legge in grado di offrire tutele e sussidi a tutte le persone in condizione di bisogno. Una realtà cui si accompagna, come sottolineato al convegno dal presidente della Caritas, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia, il diffondersi «dell’idea di povertà come colpa degli stessi poveri». Ecco perché, a fronte di una politica poco propensa al confronto con i corpi sociali, che si ritiene autosufficiente, occorre a maggior ragione rafforzare il ruolo di rappresentanza, elaborazione e proposta di un soggetto sussidiario come l’Alleanza contro la povertà. Per cercare di costruire un nuovo patto sociale sulle povertà, al di là delle ideologie e che sia capace di travalicare le legislature.
The post La povertà non aspetta appeared first on Azione Cattolica Italiana.
Source: New feed

Leave a Reply

Powered by themekiller.com anime4online.com animextoon.com