Il rischio è una sanità a pagamento

By 6 Aprile 2024 News No Comments

«Se non interveniamo il rischio è una sanità a pagamento, come negli Usa». L’espressione forte, ma largamente condivisa da chi ogni giorno ha a che fare con la sanità pubblica, è dell’oncologo e ricercatore Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri (qui l’intervista rilasciata a Segno nel mondo). Il dibattito, o forse bisognerebbe ammettere, presa di coscienza di una realtà che è sotto gli occhi di tutti, ha preso di nuovo vigore in questi giorni con la pubblicazione di una lettera che quattordici simboli della scienza italiana – tra i firmatari proprio Silvio Garattini – hanno scritto per chiedere maggiori investimenti in favore della sanità pubblica.

Eccellenze e problemi

Il Servizio sanitario nazionale oggi ha eccellenze nel campo della ricerca, della prevenzione e della cura. Ma soffre, nella maggior parte dei casi, soprattutto nelle regioni del sud, di mali endemici e “istituzionali” che vanno a minare quelle che sono le fondamenta stesse del Servizio sanitario, e cioè la possibilità di cura e di prevenzione per tutti i cittadini, nessuno escluso. Soprattutto di quelli – e sono la maggioranza – che non hanno possibilità di accedere alla sanità privata.

Dal 1978, data della sua fondazione, al 2019 il Ssn in Italia ha contribuito a produrre il più marcato incremento dell’aspettativa di vita (da 73,8 a 83,6 anni) tra i Paesi ad alto reddito, spiegano i ricercatori nella lettera. Ma oggi i dati dimostrano che il sistema è in crisi: arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali.

I problemi sono noti. Le aspettative per ottenere una visita ospedaliera o per la diagnostica sono interminabili. La prevenzione, spesso, ne paga il prezzo. Gli anziani monoreddito sono quelli che più subiscono la mancanza di efficienza di un servizio di cura pubblico previsto dalla Costituzione. Senza contare che anche la sanità pubblica costa. Il ticket per l’acquisto di medicinali è importante e ormai gran parte dei farmaci sono stati sostituiti dai cosiddetti “integratori”, che hanno un costo altissimo.

Pochi soldi per il Ssn

Il Ssn è sottofinanziato: nel 2025 sarà destinato il 6,2% del Pil (meno di vent’anni fa). «Il pubblico garantisce ancora a tutti una quota di attività (urgenza, ricoveri per acuzie), mentre per il resto (visite specialistiche, diagnostica, piccola chirurgia) il pubblico arretra, e i cittadini sono costretti a rinviare gli interventi o indotti a ricorrere al privato». 

«Progredire su questa china, oltre che in contrasto con l’art. 32 della Costituzione, ci spinge verso il modello Usa, terribilmente più oneroso (spesa complessiva più che tripla rispetto all’Italia) e meno efficace (aspettativa di vita inferiore di sei anni)». 

Il divario tra Nord e Sud d’Italia in termini di diritto alla salute si è, con gli anni, notevolmente ampliato.  «È dunque necessario – spiegano i ricercatori – un piano straordinario di finanziamento del Ssn e specifiche risorse devono essere destinate a rimuovere gli squilibri territoriali. Ancora, l’Ssn deve recuperare il suo ruolo di luogo di ricerca e innovazione al servizio della salute».

L’assistenza è a rischio

Il futuro appare fosco. Tra 25 anni quasi due italiani su cinque avranno più di 65 anni (molti di loro affetti da almeno una patologia cronica) e il sistema, già oggi in grave difficoltà, non sarà in grado di assisterli. In più, la spesa per la prevenzione in Italia è da sempre al di sotto di quanto programmato, «il che spiega in parte gli insufficienti tassi di adesione ai programmi di screening oncologico che si registrano in quasi tutta Italia». 

Come rivitalizzare allora il nostro Servizio sanitario nazionale? 

Partendo dalla percentuale di spesa sociale che lo Stato destina a esso. «La vera emergenza è adeguare il finanziamento del Ssn agli standard dei Paesi europei avanzati (8% del PIL)».

Un Ssn che funziona non solo tutela la salute ma contribuisce anche alla coesione sociale.
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