Il Vangelo è un compito che non finisce

By 25 Aprile 2024 News No Comments

Pubblichiamo la trascrizione dell’omelia del card. Pietro Parolin (Fraterna Domus, 25 aprile 2024)

Signor presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana, signor assistente ecclesiastico generale, eccellenza, reverendi presbiteri, cari fratelli e sorelle in Cristo. 

Questa celebrazione eucaristica apre la vostra XVIII Assemblea nazionale nella bella festa di San Marco Evangelista. È significativo che abbiate chiamato me a presiederla, e vi ringrazio per l’invito, perché come Veneto mi sento particolarmente legato a San Marco e poi perché Marco è considerato il segretario di Pietro, quasi un suo figlio come lui lo chiama nella prima lettera, l’abbiamo sentito nella lettura, perché da lui battezzato. Colui che durante la predicazione di Pietro a Roma fu il suo stenografo e raccolse le sue catechesi che divennero la fonte preziosa per scrivere il suo Vangelo. Dal testo di Marco abbiamo ascoltato l’invito di Gesù, rivolto agli 11, di andare in tutto il mondo e proclamare il Vangelo ad ogni creatura. Ma che cos’è il Vangelo? Il Vangelo è Gesù Cristo. Il Vangelo è la sua persona, la sua storia, la sua opera di salvezza. I primi cristiani lo compresero subito e pertanto per loro predicare il Vangelo voleva dire predicare Gesù Cristo e questa predicazione orale, che poi fu messa per iscritto e diede origine ai quattro Vangeli, aveva la funzione di portare l’ascoltatore e il lettore ad un incontro che salva, ieri come oggi, perché è un incontro con una persona viva; Gesù Cristo morto e risuscitato. È quanto afferma papa Francesco nell’incipit della Evangelii Gaudium che conosciamo certamente a memoria, ma che a me piace sempre citare: la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che incontrano Cristo, coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento.

Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. È il tema scelto per la vostra assemblea che focalizza proprio questa prospettiva: Testimoni di tutte le cose da Lui compiute e sottolinea quindi il contenuto cristologico del vostro e del nostro annuncio, riprendendo le parole di Pietro pronunciate dopo la conversione del centurione Cornelio: «noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei giudei e in Gerusalemme, essi lo uccisero appendendolo a una croce ma Dio lo ha risuscitato il terzo giorno», con tutto quel che segue. Mi pare che questa prospettiva nella quale vi siete messi durante la vostra assemblea interroga ciascuno di voi e l’intera Azione cattolica a me molto cara sulla formazione che è uno dei capisaldi dell’impegno associativo. La formazione che come recita il vostro progetto formativo deve portare a conoscere Gesù e a decidersi per lui. San Paolo sesto durante il pellegrinaggio in Terra Santa nel 1964, a Nazareth, parlò di una mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo. 

Se la formazione e l’intelligenza del Vangelo cioè di Gesù Cristo non è mai compiuta, allora è un compito che non finisce, è un compito che dura tutta la vita, è un compito sul quale bisogna investire in continuazione senza stancarsi, senza rinunciare, a partire dall’affermazione espressa da San Paolo nella Lettera ai Filippesi: «perché io possa conoscere Lui la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte con la speranza di giungere alla risurrezione dei morti». E qui vediamo tra l’altro come la formazione non è un puro esercizio intellettuale ma abbraccia tutta la persona e quindi è necessario lo studio ma accanto allo studio anche tutte le altre dimensioni di un’esperienza che deve coinvolgere tutta la vita del credente. 

Che io possa conoscere te Signore: deve essere il desiderio profondo del nostro cuore in questo momento. Che io possa conoscere te Signore: deve essere la sete ardente che ci brucia dentro. Che io possa conoscere te e tutte le cose da te compiute. E questo per diventare annunciatori e missionari del Vangelo, che ripeto è Gesù Cristo, allora essi partirono e predicarono dappertutto mentre il Signore agiva insieme con loro, abbiamo letto nel Vangelo di Marco. Quella parola accolta dai discepoli ha aperto un cammino infinito che ancora oggi prosegue e investe ciascuno di noi perché facciamo conoscere al mondo tutte le cose da lui compiute. La missione è un altro elemento fondamentale dell’identità dell’Azione cattolica. Ci veniva inculcato fin da piccoli quando da fiamme bianche verdi e rosse, allora si chiamava così l’Azione cattolica dei ragazzi, le fiamme bianche e verdi e rosse e cantavamo «ardita e franca avanza la fiamma tricolore e porta a ogni fratello il dono dell’amor». Ma forse è un linguaggio che oggi non useremo più, un linguaggio obsoleto, ma che allora eravamo piccoli, eravamo bambini, ci plasmava proprio nel senso della missione: portare ad ogni fratello il dono dell’amore cioè Gesù Cristo che è l’amore di Dio.

Non mi soffermo qui sull’assistenza di papa Francesco sull’evangelizzazione che si riassume nell’espressione “una chiesa in uscita”. Mi permetto solo di citare il numero 27 della Evangelii Gaudium laddove il Santo Padre scrive: «sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale». E io lo applico semplicemente a voi: sogno, sogniamo un’Azione cattolica che sia capace di trasformare consuetudini, stili, orari, linguaggio strutture associative in canali di evangelizzazione del mondo attuale. Impegnatevi in questo senso sulla scorta della vostra storia e del programma di questa assemblea Testimoni di tutte le cose da lui compiute. 

Questo programma ci indica anche la modalità con cui realizzare oggi l’evangelizzazione o la modalità principale perché evidentemente c’è ne sono molte, sono pluriformi, e che io individuerei nella testimonianza. Ripetiamo le parole di San Paolo sesto che non perdono mai la loro freschezza anche se spesso citate: «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». E anche il Vangelo di oggi ci indirizza verso la testimonianza quando parla dei segni che accompagneranno quelli che credono. Gesù indica 5 condizioni che potremmo definire le 5 vie per essere testimoni credibili di tutte le cose da lui compiute. Nel mio nome scacceranno i demoni. I padri del deserto ci insegnano cosa significa vivere concretamente questa dimensione. Al di là dei rituali usati dalla chiesa per gli esorcismi si tratta del combattimento quotidiano e senza interruzione contro tutto il male che alberga in noi: pensieri parole opere e omissioni. L’opera fondamentale del nemico dell’uomo del maligno è infatti istigare l’uomo e il male attraverso le sue suggestioni e testimoniare il Vangelo pertanto comporta non assecondare queste suggestioni, come ci invita a fare la prima lettura: siate sobri, vegliate, il vostro nemico il diavolo come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistete saldi nella fede. Nel mio nome parleranno lingue nuove: il riferimento è alla Pentecoste e al dono delle lingue di cui parla San Paolo nelle lettere ai Corinti ma qui a mio parere possiamo vedere piuttosto il tema della necessità per trovare le parole giuste, per testimoniare tutte le cose da lui compiute. È l’eterno problema del linguaggio che oggi diventa particolarmente cruciale di fronte all’affermarsi della nuova cultura individualista e tecnologica: la gente non ci capisce più, non ci capiscono più soprattutto i giovani. È un problema arduo di non facile soluzione ma certamente dobbiamo fare lo sforzo per essere testimoni credibili di trovare il modo di annunciare il Vangelo nelle modalità più comprensibili ai nostri contemporanei e quindi più efficaci, compito che già San Giovanni ventitreesimo affidava al Concilio ecumenico Vaticano secondo, che non può perciò interrompersi mai, nella rinnovata serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa nella sua interezza e precisione quale ancora splende negli atti conciliari da Trento al Vaticano primo e aggiungiamo adesso anche il Vaticano secondo. Nel mio nome prenderanno in mano i serpenti: tale espressione ci ricorda la scena del capitolo quattro dell’Esodo: come Mosè trasforma il bastone in serpente e lo prende in mano così i cristiani prendono in mano i problemi della gente, si fanno carico delle fatiche, entrano nelle sofferenze, non hanno paura di caricarsi dei problemi dell’umanità. Penso ad esempio al problema della pace a cui accennava prima sua eccellenza al problema dell’ecologia e di tantissimi altri problemi che lacerano e investono il mondo di oggi. Lo abbiamo visto fare a tanti santi e Sante e lo vediamo fare ancora oggi da tanti testimoni nel mondo. Papa Francesco ci ricorda in molte occasioni questo aspetto della vita cristiana: la cosa di cui la chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli attraverso la vicinanza e la prossimità. Nel mio nome se berranno qualche veleno non recherà loro danno: il veleno fa riferimento a ciò che viene da fuori, al clima culturale che respiriamo, al modo di pensare che molte volte insensibilmente ci viene instillato senza negare i tanti segni di bene che caratterizzano il nostro mondo possiamo parlare con San Giovanni Paolo secondo di una cultura di morte e come i primi cristiani che non si sono lasciati né condizionare né avvelenare dal loro ambiente ma hanno saputo immettervi semi di Vangelo che poi sono germogliati e hanno portato frutto anche noi non possiamo rimanere indifferenti di fronte alle derive antropologiche che minacciano la dignità dell’uomo e conculcano i suoi diritti fondamentali.

Nel mio nome imporranno le mani ai malati e questi guariranno. Testimoniare il Vangelo significa portare con sé la guarigione che è anzitutto una guarigione interiore: la capacità di aprire sentieri di speranza per coloro che non trovano più posto in questo mondo, per coloro che non hanno più un senso nella vita, per coloro che non sanno più chi sono. Gli studiosi dicono che San Marco trascrisse le predicazioni di Pietro destinate al popolo di Roma senza elaborarle o interpretarle. Per questo conserva la brillantezza di un discorso di un racconto destinato alla gente. Inoltre Marco scrisse in greco, la lingua più diffusa il tempo, perché l’obiettivo era raggiungere quante più persone possibile per conquistarle a Cristo. Anche il nostro obiettivo resta lo stesso: formazione missione testimonianza per raggiungere quante più persone possibili e conquistarle in Cristo. Ciò comporta sacrificio, non dimenticate l’esortazione di San Paolo sesto in occasione del centenario dell’Azione cattolica nel 1968, libertà di offerta (lui insisteva all’Azione cattolica cattolica) si aderisce liberamente ma serietà di impegno. Non è stata e non è l’Azione cattolica un effimero entusiasmo, un’impresa da dilettanti, è stata ed è tuttora un dono vero, un sacrificio serio un servizio permanente.

Cari fratelli e sorelle grazie per la vostra presenza, grazie per il vostro impegno per la chiesa e nella chiesa, grazie per la vostra testimonianza di comunione e fraternità affinché il seme del Vangelo continui a germogliare nella vita delle persone e nella società. Dio benedica la vostra opera e continui a sostenere il vostro cammino che affidiamo all’intercessione di Maria Santissima e di tutti i santi dell’Azione cattolica. 
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